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Rimozione e falsa coscienza nel film LA ZONA DI INTERESSE, di Jonathan Glazer

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Perché vediamo ciò che vediamo e non altro? Un passaggio dal buio alla luce è la sequenza iniziale del film, un lungo momento che sembra non finire di buio assoluto in cui cresce l'inquietudine assieme alla percezione di non leggibilità immediata di suoni in crescendo: uno stridore metallico, il basso sordo monocorde della colonna sonora di Mika Levi, evoca immagini di una macchina implacabile, di una forza oscura. D'altronde, che rumore ha l'inferno o, ancora, esistono forse immagini che possano rendere l'inumano? Poi, cinguettii annunciano la luce man mano che lo schermo apre su un paesaggio campestre, un fiume, giovani uomini in costume, in barca, bambini biondissimi che giocano, una merenda sull'erba, donne col capo cinto di trecce. Un idillio dai colori di cartolina intrisi di luce. Quando la scena si sposta poi sul ritorno a casa del gruppo, la m.d.p.inquadra la grande casa confortevole, il giardino dai viali ordinati, indugia con color...

PERFECT DAYS, di Wim Wenders

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Prime luci dell'alba, solo rumore il fruscìo delle foglie secche che lo spazzino raccoglie. Un uomo si leva, ripiega il futon, riordina i suoi spazi. Piccoli gesti di routine che compie con calma, rituali di ordine, di cura di sé e della vita che lo circonda, di pulizia degli oggetti e nei pensieri. Beve il suo caffè Hirayama, l'uomo che stiamo imparando a conoscere da gesti che rivelano come si muove, osserva e, in certa misura, silenziosamente, modifica il mondo intorno, come i suoi gesti siano pieni di attenzione sollecita, di calma concentrazione e dignità: il suo primo pensiero è dissetare le piantine nate spontaneamente nel parco,quelle di cui nessuno si accorge e che lui raccoglie e fa crescere. Sa custodirne la vita. Si veste: una tuta col logo dei bagni pubblici di Tokio ci dice quale posto occupi nella scala sociale in qualità di addetto alla pulizia, almeno per quel che sin qui sappiamo di lui al presente.. Una tuta può anche essere una corazza o un mante...

QUE DIOS NOS PERDONE (CHE DIO CI PERDONI), di Rodrigo Sorogoyen (2017)

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Squadra che vince non si cambia per Sorogoyen, e questo vale per i bravissimi attori di molti dei suoi film come per la collaborazione costante, quasi una co-regia, con la sceneggiatrice Isabel Peña. Li ritroviamo nel recente As bestas e in questo film del 2016, Che Dio ci perdoni. Affiatamento e contrasto di caratteri , ritmo e spessore psicologico dei personaggi appaiono così garantiti da belle interpretazioni e da una robusta scrittura, evidenti sin dalle prime inquadrature che dipingono l'ambiente umano e il retroterra culturale in cui si svolge l'azione. Caratteri e contesti risolti in poche pennellate efficacissime, sintetiche. Madrid, 2011, visita di Benedetto XVI, un milione e mezzo di pellegrini per le strade, una catena di omicidi di vecchie signore derubricati inizialmente a semplici furti finiti male e perciò senza ulteriori indagini serie sui corpi, due detective che più diversi non potrebbero essere: questa la gatta da pelare affidata alla strana coppi...

ANATOMIA DI UNA CADUTA, di Justine Triet

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Una palla rossa cade rotolando dalle scale, un cane la insegue e la riporta indietro a un bambino dagli occhi come i suoi, due polle azzurre senza fondo.  Entriamo così nella storia che Triet e Harari hanno sceneggiato, con questo nostro sguardo estraneo e interrogante su quanto è avvenuto in quello chalet isolato dell'Auvergne in cui viveva la coppia Sandra e Samuel, il loro bambino Daniel e il cane. Snoop, lo capiremo presto, è per Daniel i suoi occhi, occhi che vedono oltre, con una percezione più globale che include l'istinto e sensi più acuti. Una musica ad alto volume rompe assordante, aggressiva, il silenzio, copre le voci di due donne che si intrecciavano in una intervista presto divenuta dialogo complice, con quel tipico abbassarsi dei toni che segna forse l'inizio di una intesa tra le due, la scrittrice di successo sui cui romanzi già si scrivono tesi di laurea e la giovane intervistatrice che la ammira. Una seduzione la si dirà poi nel pro...

ARGENTINA 1985, di Santiago Mitre

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"In memoria delle vittime del terrorismo di Stato" è la frase che conclude i titoli di coda di Argentina 1985, firmato da Santiago Mitre, regista, e per la sceneggiatura anche da Mariano Llinas. "Ispirato a fatti reali", quella che ne apre la narrazione. 1983, l'anno che conclude i sette anni in cui le tre giunte militari guidate da Jorge Videla hanno fatto secondo stime ufficiali tra i dissidenti 9.000 vittime tra desaparecidos, detenuti illegalmente, torturati, assassinati (30.000 secondo stime ufficiose). Il presidente Alfonsín, sette mesi dopo essersi insediato, firma un decreto per mettere sotto indagine e rinviare a giudizio i responsabili e dare così il segno di un paese che vuole fare davvero i conti col proprio passato oscuro mentre intraprende la strada della democrazia. Julio Strassera( interpretato dal bravissimo Ricardo Darín) il procuratore, vorrebbe schivare l'incarico. Sa che è tutta una finta, una recita che non porte...

OPPENHEIMER, di Christopher Nolan

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Biopic, western, legal drama e, per mezz'ora almeno, sci-fi, oltre i consueti salti temporali: questi i registri toccati e rimescolati nel caleidoscopio di un film che, a detta dello stesso Nolan, il regista ha girato come se fossero tre a cui lavorare contemporaneamente. Magicamente i pezzi sulla scacchiera si sono però disposti nel modo più favorevole e quelli che in altri film dell'autore sono stati indicati come difetti, mancanze, vezzi manieristici, si trovano qui trasformati in pregi, nella strategia giusta grazie ad una sceneggiatura stratificata per calarsi nella complessità della mente e delle scelte di un genio visionario, descritto ora come scienziato atipico perché intuitivo, quasi un artista, ora da altri come un abile manager di sé stesso, bravo a galvanizzare le energie altrui ma soprattutto consapevole di essere al centro di un momento storicamente irrepetibile. Un uomo che si sente "chiamato"dalla Storia a fare la Storia. Intor...

IL REGNO(EL REINO), di Rodrigo Sorogoyen (2018)

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Ancora una eccellente prova d'attore per Antonio de la Torre che nel film Il regno è Manuel López-Vidal, ricco e potente vicesegretario di un "partito" di cui nel film non conosceremo mai il nome né l'identità politica. Ogni spettatore se ne farà un'idea, ognuno potrà riconoscerci eventi, luoghi, personaggi della storia recente, simili, a quanto pare, in molti paesi.  Il regno di cui si parla, quello che Manuel ha conquistato e alla cui lotta per mantenerlo assisteremo, è il potere da lui ottenuto grazie alla politica e il pericolo di perderlo è dato dal mettersi in moto di un'inchiesta giudiziaria su un giro di tangenti. Un political drama quindi e, allo stesso tempo, un thriller tesissimo, reso adrenalinico dal ritmo martellante della colonna sonora e delle immagini in un continuo alternarsi di pedinamenti e soggettive. Cambiano continuamente anche gli ambienti, diversissimi, che spaziano da quelli dal lusso un po' pacchiano abitualmente ostentati dai co...