OPPENHEIMER, di Christopher Nolan
Biopic, western, legal drama e, per mezz'ora almeno, sci-fi, oltre i consueti salti temporali: questi i registri toccati e rimescolati nel caleidoscopio di un film che, a detta dello stesso Nolan, il regista ha girato come se fossero tre a cui lavorare contemporaneamente. Magicamente i pezzi sulla scacchiera si sono però disposti nel modo più favorevole e quelli che in altri film dell'autore sono stati indicati come difetti, mancanze, vezzi manieristici, si trovano qui trasformati in pregi, nella strategia giusta grazie ad una sceneggiatura stratificata per calarsi nella complessità della mente e delle scelte di un genio visionario, descritto ora come scienziato atipico perché intuitivo, quasi un artista, ora da altri come un abile manager di sé stesso, bravo a galvanizzare le energie altrui ma soprattutto consapevole di essere al centro di un momento storicamente irrepetibile. Un uomo che si sente "chiamato"dalla Storia a fare la Storia.
Intorno a lui, a Oppenheimer che presto sarà per tutti Oppie, e prima e dopo nei salti temporali ai quali Nolan ci ha abituati e che qui sono sottolineati dal trascolorare delle immagini, viene evocato tutto un ambiente intellettuale e scientifico progressista, internazionale, impegnato, quello delle sue frequentazioni, e intorno, nell'anello più esterno, politici con le loro spregiudicatezze arrivistiche, militari coi loro rigidi schemi mentali, una opinione pubblica in preda a paranoie anticomuniste e ottuso maccartismo, un rovesciamento di alleanze e di fronti: quello che era il "nemico", il nazismo, non è più percepito tale e diventa un alleato contro il paese che ha invece sin qui combattuto al fianco dell'America e che ora è percepito come portatore del vero nemico ideologico, il comunismo. Intorno a lui, ma visti per brevissime sequenze, come ai margini del suo campo visivo, ruotano per brevi fotogrammi figure gigantesche di scienziati, ancora riconoscibili come Einstein o Fermi o come un Richard Feynman, individuato solo per la nota passione per suonare il bongo e solo perché una voce fuoricampo lo nomina. Tutto ciò serve a rendere la sua solitudine, quella dei numeri primi e degli ego in cui urge anzitutto il primato della propria visione da realizzare ad ogni costo. Non resta molto per gli altri.
Due persone nel film mi pare che riescano a guardare nel lato oscuro, irrisolto, di una personalità così magnetica, brillante, forte, complessa, ad andare oltre e cogliere l'ombra trovandola nell' ambizione che lo anima(sono " un uomo forte" dirà di sé O.), una donna e un uomo, Jean Tatlock, la donna molto amata e mai dimenticata, e il senatore Lewis Strauss, l'acerrimo nemico e persecutore.
Chi rivela Oppie a sé stesso è donna di grande talento e intelligenza, liberi costumi e per di più comunista, Jean Tatlock. La sua vita meriterebbe un altro film. Tutte le scene contenenti le intuizioni più risolte genialmente nel film sono brevissime come questa dell'amplesso tra Tatlock e Oppie in cui lei fa sì che si mescoli ricerca del piacere e lettura di quel passo della Bhagavad Gita in cui (nel cap.11) Visnu dice di essere "diventato Morte(o Tempo per altre traduzioni), il distruttore di mondi". I celebri occhi azzurri di Cillian Murphy sgranati nella fissità del volto ascetico restano per un lungo istante quasi a rendere l'idea dell'illuminazione, la rivelazione.
Nessuno capisce il genio e le sue contraddizioni però meglio di un mediocre invidioso e con smodate ambizioni personali di compensazione e di grandezza che si trova a incrociare i propri destini personali con lo spirito libero dell'altro, lo scienziato ammirato da tutti: dovute a maneggi e compromissione col sistema le fortune del primo, l'ex venditore di scarpe che si sente sempre ricacciato indietro, alla modestia dei suoi inizi, quanto rispondente solo al suo daimon, al dovere verso sé stesso e alla scienza il secondo. Si vede per rispecchiamento e dove gli altri restano stregati dallo sfolgorio dell'intelligenza Lewis Strauss scorge qualcosa che conosce bene, l'ambizione smodata, la ybris dell'egoismo, la dismisura. Perfetta la recitazione di Robert Downing nel cogliere rigidità e bassezze del suo personaggio, come calzanti sono la fisicità e la recitazione da mastino da guerra del personaggio tratteggiato da Matt Damon, il gen. Leslie Groves.
Tra le sequenze brevissime e geniali, bella davvero è poi la scelta della sospensione del sonoro nel momento dell'esplosione della prima bomba del progetto Trinity, un istante lungo da togliere il fiato di sospensione sensoriale amplificata dalle ore precedenti del rimbombo sonoro della colonna sonora di Görasson. Il silenzio non può che essere il "suono" giusto mentre la mente si riempie di quella visione.
Qualcuno saluta come un segnale positivo la folta affluenza di un pubblico giovanissimo e disabituato alla sala, come occasione di future riflessioni e consapevolezza in loro dei pericoli connessi all'essere entrati da allora nell'era nucleare. Possibile, auspicabile. Possibile anche che le impressioni più forti su chi non ha maturato precedentemente una coscienza e un giudizio storico restino invece quelle che nel film associano la "bomba"alle folle plaudenti, al trionfante successo con cui il fisico ottiene la sua incoronazione, all'inquadratura dal basso che lo riprende sotto la bandiera americana. Del resto una battuta che Nolan fa dire al suo Oppie è "questo è il paese che amo", a ribadire una scelta di campo che forse non è solo sua ma anche del regista.
Chi ha dunque nel film coscienza della irreversibilità e delle tremende incognite dell'evento? Due tra i fisici presenti al Trinity test fuggono in un angolo, annichiliti piangono. Un terzo vomita.
Le visioni di Oppenheimer divengono macabre mentre il suo piede gli pare affondare nella danza di atomi neri di quelli che un tempo, prima, a Hiroshima e Nagasaki erano corpi, vite, persone .
Sa di averlo permesso lui, divenuto Morte, il distruttore di mondi.
Come sempre nei suoi momenti alti la rappresentazione artistica resta ambivalente. La scelta dell'estetizzazione, del guardare solo come colore, forma, fantasmagoria di luci, fascinazione della potenza, sempre rimanda poi allo spettatore la riflessione, il giudizio. E forse non è giusto chiedere a un autore quello che ha scelto di non dire perché lo dice implicitamente mettendo a fuoco la porzione di realtà che sceglie di rappresentare. In questo caso mistero, ascesa e caduta dell'uomo e scienziato Oppenheimer.
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