ARGENTINA 1985, di Santiago Mitre
"In memoria delle vittime del terrorismo di Stato" è la frase che conclude i titoli di coda di Argentina 1985, firmato da Santiago Mitre, regista, e per la sceneggiatura anche da Mariano Llinas.
"Ispirato a fatti reali", quella che ne apre la narrazione.
1983, l'anno che conclude i sette anni in cui le tre giunte militari guidate da Jorge Videla hanno fatto secondo stime ufficiali tra i dissidenti 9.000 vittime tra desaparecidos, detenuti illegalmente, torturati, assassinati (30.000 secondo stime ufficiose).
Il presidente Alfonsín, sette mesi dopo essersi insediato, firma un decreto per mettere sotto indagine e rinviare a giudizio i responsabili e dare così il segno di un paese che vuole fare davvero i conti col proprio passato oscuro mentre intraprende la strada della democrazia.
Julio Strassera( interpretato dal bravissimo Ricardo Darín) il procuratore, vorrebbe schivare l'incarico. Sa che è tutta una finta, una recita che non porterà a niente, l'alibi di una democrazia ancora fragile e impotente. Sa che tutti i colleghi in realtà fuggono e che nessuno vorrà collaborare con lui, così come, posto che riesca a raccogliere le prove, non si presenterebbe nessuno poi a testimoniare, nessuno sarà disposto a parlare e quindi non si andrà mai a processo. Troppo potenti ancora e tutti ancora al loro posto i militari. In tanti ancora sono quelli compromessi col loro regime per pensare che non continuino a proteggere col silenzio anche sé stessi e le colpe che condividono.
È bravo però Strassera, scrupoloso, caparbio e non può sottrarsi. Si batterà.
Comincia così la parte che renderà più vivace, dinamica, la narrazione di questo legal thriller: la ricerca impossibile dei collaboratori che dovranno formare il team di Strassera. Dopo le defezioni dei candidati naturali e qualificati per il ruolo, i colleghi del procuratore, Strassera vedrà schierarsi con lui inizialmente solo il giovanissimo Julio Moreno-Ocampo( Peter Lanzani). Sua l'intuizione di cercare tra i ricercatori appena laureati e carichi di entusiasmo. Loro il compito arduo, impossibile, di cercare le prove che dovranno portare alla sbarra e poi inchiodare alle loro responsabilità Videla e i militari della giunta. Dalla loro voglia di impegno civile, con in dote nessuna esperienza ma un intatto, incorrotto sentimento democratico verrà nella realtà argentina il miracolo di un processo che passerà alla storia e porterà nel film una iniezione di freschezza e di un bel contrasto: da un lato l'Argentina giovane, il paese non compromesso, gli occhi che brillano, la linfa nuova di idee, le facce pulite con cui lo spettatore naturalmente empatizza subito, dall'altro le facce proterve dei militari della giunta, rigidi nelle divise, reticenti per la cattiva coscienza, respingenti nei volti resi di pietra dalle maschere del potere e dell'arroganza.
È la materia stessa della storia a dare sostanza e verità a un racconto come questo. A volte la mano di regista e sceneggiatori è felice proprio quando meno si fa sentire e rinuncia ai virtuosismi. Qui nulla occorreva aggiungere, nessun artificio narrativo, nessuna retorica letteraria. Intelligente sempre la scelta di lasciare parlare i fatti quando i fatti sono così grandi e gravi da avere una eco nella coscienza universale. Bene non mostrarne l'orrore scaturito, lasciare che emerga poi dalle conseguenze sul doloroso vissuto delle vittime. Meglio puntare piuttosto sulla umanità dei personaggi, sulla normalità delle loro vite e delle loro emozioni, i contrasti dei caratteri e opinioni degli uomini e donne che diedero forma a un processo su cui non avrebbe scommesso nessuno e invece per merito loro si fece ed entrò nella storia.
Vivace lo scambio attoriale tra il protagonista,il grande Ricardo Darín, e il bravo Peter Lanzani.
Argentina 1985 mostra un paese che, come l'Italia del dopoguerra, ha una diffusa identità fascista in funzionari, politici, militari ma che gode di un consenso diffuso in una classe media che vede solo il lato positivo della società creata dal fascismo e in essa trova la propria nicchia di agi e certezze. Oltre è restia a guardare. I regimi poi, si sa,non mostrano a tutti il volto feroce che riservano agli oppositori. Lo raccontò bene ad esempio un film come Garage Olimpo: la vita che scorreva tranquilla, normale, ignara, fuori da quella porta. Dentro l'orrore disumano.
È il personaggio del giovane Moreno-Ocampo a portare nella dinamica del film la nota sociologica di questa appartenenza borghese agiata e che lo vorrebbe per contiguità di parentele e opportunità di carriera vicino ai militari del regime. È la sua integrità di cultore della legalità a renderlo invece diverso e non assimilabile. Sarà determinante nel favorire il cambiamento di visione nella madre del giovane procuratore: durante le udienze del processo, per le parole del figlio e di fronte alla verità del dolore e del coraggio dei pochi sopravvissuti che raccontano le vessazioni e le atrocità subite, pian piano apre gli occhi, capisce la scelta democratica e legalitaria del figlio, appoggia e incoraggia quello che prima le era sembrato un tradimento della tradizione familiare.
Ecco l'importanza per un paese di fare i conti col passato, ecco dopo Norimberga l'importanza di quel processo.
"Nunca más"!
Giusta la scelta di dedicare il finale alla lettura integrale della memorabile arringa del vero procuratore Strassera, che conclude proprio con questa fortissima asserzione, "Nunca más". "Che non si ripeta mai più" è da allora il grido che misura la distanza che il mondo libero intende mettere tra sé e la repressione feroce del dissenso nelle dittature.
Nunca más.
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