PERFECT DAYS, di Wim Wenders

Prime luci dell'alba, solo rumore il fruscìo delle foglie secche che lo spazzino raccoglie. Un uomo si leva, ripiega il futon, riordina i suoi spazi. Piccoli gesti di routine che compie con calma, rituali di ordine, di cura di sé e della vita che lo circonda, di pulizia degli oggetti e nei pensieri. Beve il suo caffè Hirayama, l'uomo che stiamo imparando a conoscere da gesti che rivelano come si muove, osserva e, in certa misura, silenziosamente, modifica il mondo intorno, come i suoi gesti siano pieni di attenzione sollecita, di calma concentrazione e dignità: il suo primo pensiero è dissetare le piantine nate spontaneamente nel parco,quelle di cui nessuno si accorge e che lui raccoglie e fa crescere. Sa custodirne la vita. Si veste: una tuta col logo dei bagni pubblici di Tokio ci dice quale posto occupi nella scala sociale in qualità di addetto alla pulizia, almeno per quel che sin qui sappiamo di lui al presente..
Una tuta può anche essere una corazza o un mantello che rende invisibili, come il silenzio è spesso un guscio.
Hirayama ha dunque scelto di essere invisibile al mondo(e ne avremo la conferma in tanti istanti della sua giornata, quando sarà ignorato ad esempio dal giovane in completo da city che non si cura di sporcare dove H. ha appena pulito o dalla madre del bimbo sperduto che nemmeno ringrazia e saluta chi lo ha trovato, rincuorato, custodito:  esempi di un mondo di automi distratti che,concentrati su falsi bisogni, non hanno tempo per gli altri), ma è sempre presente mentalmente, vigile, attento agli altri, rispettoso dei loro segnali, siano essi di apertura alla comunicazione che di bisogno di distanza. 


Il film nasce dall'incarico della prefettura  di Tokio a Wenders di realizzare un documentario su queste straordinarie strutture pubbliche la cui realizzazione è dovuta ai più grandi designer e che sono tenute con la stessa cura e considerazione che si riserva a giardini e luoghi d'arte, a tutti i luoghi pubblici, ai beni comuni. Wenders, appassionato di cultura giapponese e di meditazione zen che pratica quotidianamente,  troverà nell'attore Koji Yakusho,  nell'espressività che consente al suo volto di passare da una concentrazione severa e silenziosa alla luce di un sorriso che inonda lo schermo. l'interprete ideale del personaggio Hirayama e di quello che è ormai diventato nella sua mente un film.

Komorebi, cogliere nell'attimo l'incanto dello scintillio nel sole delle foglie di un albero. Osservare una goccia che si forma in una grondaia allo sciogliersi delle nevi, il suo durare un attimo per trasformarsi in altro. È questo sguardo zen sulle cose che troviamo nell'estetica zen dell'arte nipponica, nella "goccia"di Ogata o in quella di Azuma. Vedere la bellezza, il suo effimero fiorire, e viverla, apprezzarla proprio per questa sua irrepetibilità.  Komorebi è rivelazione della transitorietà della vita, dell'unica certezza dell'attimo, di questo attimo, presente, irrepetibile e perciò prezioso," bello". 
"Ombre"i bellissimi giochi di ombre sul muro che la fotografia di Donata Wenders intreccia a pensieri e gesti di Hirayama, epifanie in bianco e nero a interrompere il colore riservato alla giornata di H.nel mondo, una giornata apparentemente solitaria ma ricca di contatti e di molteplici livelli di intimità. 
La calma, la tranquilla sicurezza, la capacità di ascolto fanno di Hirayama un polo di attrazione per gli altri che spesso si appoggiano a lui, lo cercano, lo rispettano, una gamma di contatti che vanno dalle battute amicali scambiate con gli avventori dei locali che frequenta, le birre gelate ristoro "dopo il duro lavoro"come sollecito gli ripete ogni volta il barman, all'apprendista svagato, pasticcione e innamorato, all'anziano giardiniere del parco o l'homeless che danza una sorta di codice gestuale per salutarlo o l'uomo senza volto col quale scambia le mosse di una partita su un bigliettino segreto. 
Sa prestare ascolto e accogliere senza troppe domande e rimproveri la nipote Niko che fugge periodicamente da casa perché in rotta con la madre. È il silenzio pieno di ascolto dello zio ad affascinarla, la musica che ascolta su vecchie cassette e che per lei è nuova, le pause dal lavoro al parco ad osservare il suo "amico" albero sempre uguale e i ricami di ombre che forma, sempre diversi, la silenziosa compagnia di chi sa stare accanto all'altro e a lui non si sovrappone, sa guidare senza averne la pretesa. Con lei, quando la madre viene a prenderla per riportarla a casa, in limousine e autista, irrompe il passato, la vita di prima di H. che viene lasciata intuire molto diversa e subito allontanata con un cenno. Dal dolore bisogna proteggersi, salvarsi mettendo una distanza.
A Niko che nota quanto siano distanti il suo approccio alla vita da quello della madre e del resto della famiglia poi insegna che " il mondo è composto da mondi diversi" e che "adesso è adesso, la prossima volta è la prossima volta".

"Sono molte le cose che non sappiamo. E intanto finisce la vita", dirà all'uomo che ha amato prima di lui la donna che gli piace e che canta per lui la versione giapponese di The house of the rising sun. L'uomo, l'ex, malato, deve conciliarsi con l'idea della morte. Parleranno da uomini e finiranno a giocare come bambini, a rincorrere ad "acchiappare le ombre".

Si può rasserenare una tempesta emotiva anche mettendo ordine, come fa Hirayama dividendo in due scatole le istantanee che scatta con una vecchia macchina e poi fa sviluppare, una per le foto che hanno fissato i momenti da conservare, l'altra per quelli da gettare via.
 È importante nella vita capire cosa trattenere e cosa lasciar andare. 
Si può leggere Faulkner, ascoltare Redondo beach di Patty Smith o Nina Simone che canta "Feeling good"o il Perfect day di Lou Reed.
Seijaku è il premio, una silente quieta, serena compostezza. 

"È un nuovo giorno" e "mi sento bene"


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