BENEDETTA, di Paul Verhoeven (2021)

Inizi del XVII secolo, sulla strada per Pescia, Toscana.

Una famiglia viaggia, diretta al convento delle monache teatine di Pescia, protetta da una scorta di armati. L'uomo, un facoltoso possidente (i segni del benessere nell'abito e financo nei paramenti del cavallo), la moglie e la bambina, altrettanto riccamente vestite, dentro la carrozza. Portano la piccola -nove anni e come bambola una statuina della Madonna in mano- a monacarsi. È stata promessa in sposa a Gesù, così le hanno sempre detto per prepararla a questo destino sin da quando solo per un miracolo si era salvata dopo una malattia. 
Simile sin qui la vicenda narrata da Verhoeven all'educazione delle tante "religieuse" la cui monacazione era favorita da una precoce manipolazione parentale, come ben descritto dallo sguardo laicamente demistificante di Diderot o di Manzoni. 
Una ricca carovana che porta forzieri e dote per un convento non può non attrarre predoni di una delle tante bande che infestano le strade di una Italia descritta dal film come inselvatichita e regredita al medioevo. Così avviene, ma la piccola Benedetta non ha paura, fronteggia il prepotente senza un occhio che in punta di spada ha sottratto la collana alla madre, gli intima di fermarsi perché lei sente di esser stata scelta, lei sa di essere protetta da Gesù. Indica un segno inviato dal cielo a conferma di questa protezione, un uccellino. Che il segno prenda poi la forma dell'escremento che prontamente l'uccellino fa piovere in testa al bandito aggiunge una nota ironica alla paura che coglie questi per il castigo divino. Il bandito desiste, i predoni si ritirano. 
Benedetta, la piccola sposa di Cristo, ha la prima conferma insieme della propria capacità dialettica e della forza che le dà la fede, come del potere sugli altri che a lei deriva da questa duplice consapevolezza. 


Ecco l'antefatto che l'autore ci mostra e in cui colloca la vicenda: dentro un mondo in cui una religiosità impastata di superstizione informa e pervade ogni ambito una bambina intelligente e precocemente manipolatrice - perché a sua volta manipolata- scopre il proprio potere sugli altri e lo usa. 
Di quest'anima nel film seguiremo il destino chiedendoci a ogni svolta del racconto se finge o crede davvero, se simula per ottenere attenzione e se la sua sete di amore è sincera, se sono vere le sue visioni terrifiche e salvifiche insieme e in che misura siano simulate. Per concludere che presumibilmente sono vere entrambe le cose, come veri per l'allucinato sono i propri fantasmi e come vere per ogni bugiardo le proprie bugie. 

La stessa ambivalenza la leggeremo in coloro che circondano Benedetta, la stessa combinazione di opportunistico cinismo nel non credere davvero ma nel voler credere o fingere di credere, anzi nel favorire la divulgazione popolare della storia della "santa" intravedendo i vantaggi economici che ne verranno per il convento o per la carriera ecclesiastica. 
Del resto la aristocratica badessa, cui presta il volto l'algida Rampling, l'abbiamo vista all'arrivo della piccola postulante contrattare su dote e rendita annuale dovuta al convento con la perizia e avidità di un astuto commerciante, così come, con occhio scaltro e disincantato, capisce subito di trovarsi davanti a una piccola mitomane, coglie le incongruenze nei  racconti delle sue visioni ma "smorza e sopisce" sul nascere lo scandalo, su sollecitazione del superiore ma perché sa che questo è il gioco che le è più o meno tacitamente chiesto. 
Di lei ci chiederemo così se crede davvero nella fede testimoniata dall'abito. Varrà lo stesso per il Nunzio venuto ad indagare sui miracoli di quella che il popolo considera ormai una santa e che Verhoeven presenta come un principe rinascimentale, servito a tavola da una procace donna ostentatamente incinta forse di un suo figlio. 


Intorno infuria come sempre la peste e, come sempre, terrore della morte in sé e superstiziosa paura dell'inferno si intrecciano e si alimentano a vicenda. Crede Benedetta alle sue visioni? Credono nella fede che i loro abiti professano i potenti, la badessa, il nunzio, i vescovi, i frati confessori? Lo sguardo che esamina oggettivamente il loro utilitaristico, opportunistico operare dice di no. Lo stesso sguardo che li vede poi atterriti annaspare nell'ultimo istante di vita cercando il perdono, implorarando la parola di quella stessa Benedetta che hanno processato perché dia loro la speranza e il perdono, dice che sì, in forma distorta e superstiziosa la loro è comunque una fede. 
Nell'avere mantenuto questa ambiguità sta l'intelligenza di uno sguardo laico che rifugge il manicheismo e accetta le ambivalenze del giudizio sulla vicenda che narra e, in genere, sulla natura dell'animo umano. 
Le visioni/possessioni di Benedetta, formatasi in un contesto che reprime la gioia e gli impulsi carnali e ne esalta la sublimazione attraverso la penitenza e la sofferenza, non possono non prendere la forma del sogno allucinato di congiungersi carnalmente allo sposo promesso e riceverne col piacere il dolore delle stigmate. Un Cristo bellissimo, nelle sue visioni insieme uomo e donna, dolce nell'amore ma terribile nella vendetta mena fendenti per proteggerla da serpenti e altre manifestazioni demoniache. Verhoeven sceglie di rendere così, con questo armamentario ingenuo da letture edificanti del passato, l'immaginario di una fanciulla cresciuta in convento e privata del mondo. 
Hildegarda di Blinken o santa Teresa, le tante sante non hanno cantato così le loro nozze in Cristo, le visioni, le estasi mistiche? 

Nel convento entra con una diversa modalità un'altra giovane donna, Bartolomea. Non ha doti da offrire al convento per trovare qui riparo alla violenza nella quale è immersa da sempre la sua vita. Fugge dal padre e dai fratelli che a turno la violentano: è "roba" loro e per di più ha perso l'unica protezione, la madre che è morta. 
Se Benedetta entra in convento da aristocratica e porta dote e rendita annuale, nonché il prestigio di un casato che la protegge, Bartolomea entra da paria e rifugiata, da protetta e quindi debitrice in riconoscenza nei confronti di Benedetta che se n'è incapricciata. Una disparità di potere che rende subito il rapporto dispari ma altalenante: Benedetta, istruita, legge e tiene i conti del convento su incarico della badessa, forse ha accesso a libri che contengono rimedi ed erbe (e la conoscenza apre al potere in tutti i tempi); Bartolomea, povera, accolta per carità, adorante nei confronti della sua benefattrice ha però la sua esperienza di vita e la consapevolezza di un corpo giovane e vitale da offrire. 
Le differenze di classe pesano, nel convento come nel mondo esterno, così come i giochi di potere che conseguentemente si infiltrano nelle relazioni. 
Bartolomea conosce i segnali della sessualità e, toccando il corpo vergine e intatto di Benedetta, mai sfiorato da alcuno, ne risveglia i sensi e la rivela a sé stessa. Quasi braccandola e mettendola di fronte ai propri impulsi inconfessati, scopre di avere potere su di lei. Benedetta la punisce. Inizia così una serie di capovolgimenti di ruolo nella relazione in cui le due sperimenteranno alternativamente complicità o dominio attraverso il sesso e il controllo. 
Le differenze di rango e di potere pesano, ancor più nell'epilogo del processo: l'autorità del Nunzio si abbatterà sulla monaca povera, Bartolomea. A lei sarà riservata la tortura terribile che piegò persino Giovanna d'Arco, non a Benedetta, protetta dal nome e dal rango di nuova badessa, conquistato scalzando la vecchia nemica. 
"Pensi solo a te stessa", il grido sarà la presa di coscienza finale e tardiva di Bartolomea nei confronti della natura dell'amata. 


Benedetta fa domande, legge, pensa, forse ha nozioni di erbe che guariscono o danno morte apparente. Certo la vediamo intuire dalla pulce che vede sulla gamba del Nunzio cui lava per professione di umiltà i piedi il contagio della peste e prontamente sfruttare astutamente una deduzione frutto di pensiero razionale in termini "magici" di profezia per terrorizzarlo. 
La badessa e Benedetta in fondo si somigliano: sveglie, razionali, donne che hanno capito come funziona il sistema e come rivolgere a proprio vantaggio le stesse regole alle quali fingono obbedienza. Inevitabile, proprio perché uguali, che lottino entrambe per il potere. Inevitabile che la più giovane e spregiudicata scavalchi l'altra. 
Brava Virginie Efira(Benedetta) nel passare rapidamente da un'espressione volitiva, calcolatrice, a toni soavi e ispirati dei momenti mistici. Più esagerati quelli demoniaci e vaticinanti. 

Verhoeven ha studiato gli atti del processo a Benedetta Carlini, la giovane suora che avrebbe potuto essere santa e forse simulò miracoli in cui le folle credettero, che forse morì e risorse. Con dovizia di particolari  i verbali descrivono atti sessuali, giochi erotici e di potere, falli di legno e strumenti di tortura. V. ci assicura che certamente fu poi condannata al rogo ma salvata dai fedeli. Visse fino alla vecchiaia nel convento al quale tornò, sua unica casa. Il silenzio come unica penitenza. 
Di Bartolomea, forse amata, di sicuro amante, nulla ci viene tramandato. 

Resta sospeso il mistero di cosa si siano dette Benedetta e la badessa perché costei da acerrima nemica diventasse in punto di morte alleata e desse il bacio della morte al nemico contagiandolo con la peste.
Unico indizio la domanda che maliziosamente le rivolge il Nunzio " Provava desiderio per la badessa?" alla quale B. risponde "Amore, solo amore". 
Un altro filo a complicare la trama. 





🎥 Marisa Sapienza 

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